Una birra per Olena (XV)

Ursula Schutzentagger, che indossa un grazioso grembiule con disegni marini dove campeggia la scritta “Bellaria sole cuore e amore” ricordo del viaggio di nozze,  entra in soggiorno sorreggendo una teglia appena uscita dal forno, contenente il suo famoso stinco alla birra con patate arrosto.
Suo marito, l’agente scelto Fritz Gunnerbaum, la ammira orgoglioso mentre distribuisce generosamente pezzi di carne a lui ed ai loro ospiti, sua cugina Rose Zizzander ed il commissario capo Horst Tupperware.
Rose Zizzander, fresca vedova del terzo marito, è una spilungona segaligna sui sessantacinque anni, con i capelli biondo platino raccolti in uno chignon che la allunga ancora di più; l’invito non è stato fatto a caso, Fritz spera che l’esperta cugina riesca ad entrare nelle grazie del commissario capo, per il quale pur essendo più giovane si preoccupa come un fratello maggiore.

Rose, fattasi intraprendente dopo la terza bottiglia di birra, si rivolge civettuola a Horst:
«Non si sente bene, commissario? E’ così taciturno… e non sta mangiando niente, sta solo piluccando…».
In effetti Horst, distratto, sta sminuzzando la carne dello stinco in piccoli pezzi che impila con la forchetta uno sopra l’altro, e la voce della vedovella lo scuote:
«Oh, mi perdoni, frau Zizzander, sono un pessimo commensale. Questo caso che abbiamo tra le mani mi impegna molto…»
«Sgrumpf!» commenta Ursula, (“figurarsi”…), mentre il marito le lancia un’occhiata di supplica.
«Il caso dei tortellini, non è vero? Avete un’idea di chi possa essere stato?» chiede Rose, e continua senza attendere risposta: «Sicuramente qualche immigrato. Lo diceva sempre il mio povero terzo marito Hermann, pace all’anima sua: questo posto è diventato un casino» Poi, chinandosi verso il commissario mettendo in mostra lo scarso decolté e sfiorandogli con finta distrazione il ginocchio, gli chiede:
«Lei che ne pensa, commissario capo?»
«Ehm, a che proposito, signora?» risponde l’imbarazzato Tupperware.
«Ma commissario, non mi chiami signora, mi fa sentire vecchia… mi chiami semplicemente Rose… anzi non potremmo darci del tu?» incalza appoggiandosi ancor di più, e senza dar tempo di rispondere continua: «dicevo, cosa ne pensi, è stato qualche immigrato?»
«Purtroppo frau, ehm… Rose, non possiamo parlare delle indagini in corso, capirai, una parola fuori posto potrebbe compromettere le indagini… al momento comunque non abbiamo elementi per sospettare il coinvolgimento di stranieri»
«Umpf!» sottolinea Ursula, a voler dire “Non sapete niente, come al solito”.

In quel momento si sente suonare il campanello di ingresso. Ursula guarda interrogativamente il consorte, che appare sorpreso quanto lei. Dato che il campanello insiste, Fritz si stringe nelle spalle, si alza e va ad aprire.
Alla porta c’è una donna statuaria avvolta in una pelliccia violetta, che senza dire una parola gli mette in mano una Florentiner Torte della celebre Konditorei Widmann ed una magnum di champagne Brut Rosé Dame-Jane di Henri Giraud, dopodiché gli passa davanti ancheggiando senza degnarlo di uno sguardo.
«Buonasera a tutti» saluta i presenti, rimasti con le forchette in aria e le bocche aperte.
Poi si avvicina alla padrona di casa, immobilizzata dalla sorpresa, e le stampa in bocca un bacio alla russa:
«Buon compleanno, Schutzi» dice infine all’esterrefatta Ursula, che finalmente riacquista la parola:
«Olena Iosifovna Smirnova?» chiede incredula la tedesca. «Per la miseria Olena, a momenti mi fai venire un colpo. Che ci fai qua?»
«Sono venuta a trovare i vecchi amici, compagna Schutzentagger» e poi, rivolta ad Horst:
«A proposito, panzerotto, non ti avevo detto di chiamarmi? »
«Panzerotto?» chiede Rose a Horst «Tu conosci questa “signorina”, caro?»
«Ehm, ecco, la storia è un po’ lunga, cara Rose, non vorrei annoiarti… magari te la racconterò un’altra volta. Adesso però si è fatto tardi, e tu sarai senz’altro stanca, ti chiamo un taxi…»
«Ma io non sono affatto stanca! Sono appena le nove, e non abbiamo ancora mangiato la torta!»
Ursula a questo punto si alza, e con tutto il tatto di cui dispone si rivolge alla cugina del marito:
«Rose, hai dieci minuti per toglierti dalle palle»
«Che cosa?» strilla la vedova «Togliermi dalle palle? Non sono mai stata trattata così in vita mia! Fritz, tu non hai niente da dire?» chiede al cugino, che si guarda bene dal contrariare sua moglie.
«Ah, è così dunque! Non rimarrò in questa casa un momento di più, allora! Ma prima voglio dirvi cosa penso di voi» sbraita raccattando il suo soprabito e la sua borsetta.
«Tu!» dice a Fritz «sei un cacasotto senza palle e tu!» a Horst «sei un finocchio, “panzerotto”! E in quanto a te, brutta panzona, il tuo stinco fa caca… »
Fritz riesce appena in tempo a portare fuori di casa la cugina prima che Ursula, già lanciata, la usi come zerbino per le scarpe, e la accompagna beccandosene tutti gli improperi lungo i tre piani di scale che la portano all’uscita. Quando ritorna, Horst sta stappando lo champagne, Ursula taglia la torta ed Olena si è tolta la pelliccia e siede sulla sedia a dondolo in vimini di solito dominio del gatto Ringo, che ha ceduto il posto ad un felino più grosso.
Fritz si avvicina al tavolo in silenzio, prende il calice che Ursula gli porge e lo tracanna in un sorso.
«Adesso posso sapere anche io che cavolo sta succedendo?»

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12 pensieri su “Una birra per Olena (XV)

  1. Certo che anche le Kessler, in quanto a sobrietà…
    La Germania non ha prodotto grandi quantità di stilisti: persino il buon Karl Lagerfield è dovuto scappare in Francia e imparare l’erre moscia per poter buttar giù due schizzi di tubini neri. Poi si è fatto imbalsamare e guidare da un drone russo della stessa marca di quelli che usa Olena, ma ha dato tanto alla moda internazionale.

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    • Lo ricorderemo sempre con affetto. Pensa che ero convinto che avesse firmato anche una linea di dopobarba, e tormentavo le commesse della Rinascente per farmelo provare. Secondo loro non esisteva, io però ho ancora il dubbio. Su Raiuno mi sembra che le Kessler fossero un tantino più sobrie, quegli scacchetti bianco blu non si possono vedere…

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