Tutti ar mare

“Tutti ar mare,
 tutti ar mare
 a mostra’ le chiappe chiare,
 co’ li pesci,
 in mezzo all’onne,
 noi s’annamo a diverti’”

Così cantava Gabriella Ferri nel 1973: uno sberleffo, una canzonatura, che in poche righe descriveva quel proletariato fantozziano che, compresso nelle utilitarie Fiat, arrivava sudato e caciarone alla agognata spiaggia dove, dopo aver installato ombrelloni, sdraio e non di rado tavolini e sedie, non appena tolti i vestiti e rimasto in costume si tuffava subito in acqua; pochissimi sapevano nuotare e i più rimanevano a riva, dove si toccava.

Vi ho già detto che al mare mi annoio? In compenso in montagna mi stufo. Me ne sto bene a casa mia e non sentirei nessun bisogno di staccare la spina o ricaricare le pile, giacché cerco di ricaricarmi in altri modi che non siano quelli dell’oziare sotto un ombrellone pagato a caro prezzo soppesando fondoschiena femminili protetto dalla riservatezza degli occhiali da sole. No, no, datemi un divano o una sdraio in terrazza, una birretta, un libro, un quaderno ed una biro e mi ricarico da me.

Quando ero bambino ed ancora figlio unico, nei primi anni ’60, qualche volta andavamo al mare con i nostri vicini, Antonio e Rosa, che avevano due figli, Stelvio mio coetaneo e caro amico e Vania, che a dispetto del nome non era uno zio ma la sorella appena più grande. Partivamo al mattino e tornavamo la sera, mai andato in vacanza con la famiglia, e chi poteva permetterselo? Per i bambini c’erano le colonie, mare o montagna a seconda dei bisogni. Forse è per questo che ancora oggi quando vado al mare ho la fastidiosa sensazione di sprecare tempo e soldi.
Ma, tornando a quelle spiagge, le donne erano di corporatura tradizionale, cosa che oggi è raramente riscontrabile se non nella protagonista dei romanzi di Alexander McCall Smith, Precious Ramotswe, ambientati però in Botswana, ed indossavano il costume rigorosamente intero.

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In testa avevano dei fazzoletti colorati, o degli ampi cappelli di paglia; sopra il costume portavano un vestitino leggero con i bottoni sul davanti, di tessuto stampato con fantasie floreali, e lo toglievano con pudore, anche perché la depilazione brasiliana era sconosciuta, ma forse la depilazione tout-court; noi avevamo degli slippini, maschi e femmine, ed anche i padri avevano dei costumi a slip, sempre gli stessi per anni e anni, simili a quelli di Johnny Weismuller in Tarzan.

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C’è da dire che, trattandosi di lavoratori, i fisici non erano da disprezzare: spalle larghe, torace ampio e ricoperto di virile peluria (uomini depilati non esistevano o almeno nel mio piccolo mondo erano sconosciuti, con l’eccezione dei ciclisti), gambe e braccia muscolose.
Altro che crema solare, altro che protezione 50! In genere si tornava a casa tutti arrossati e venivano applicati degli impacchi lenitivi a base di amido, che toglievano l’infiammazione.

Tempi beati! Il buco dell’ozono non esisteva ed il sole non era un nemico da temere; non si contavano le calorie col bilancino perché tanto tutto quello che si metteva dentro in poco tempo si bruciava.

Mi accorgo ora che più passa il tempo più sviluppo senili forme di insofferenza, e delle vacanze al mare mi danno fastidio cose che ieri mi lasciavano indifferente:
a) ci sono troppi cani in giro o forse troppi padroni di cani; a me i cani piacciono ma quando vengono trattati come bambini non lo sopporto, non è nemmeno dignitoso per loro;
b) ci sono troppi tatuaggi ed alcuni decisamente assurdi;
c) gli ombrelloni costano troppo (l’ho già detto?);
d) ci sono troppi ragazzi che vanno in bicicletta parlando al cellulare; diventeranno degli adulti che guideranno l’auto guardando il cellulare e causeranno incidenti: propongo in via preventiva di non concedergli la patente;
e) le biciclette in dotazione agli alberghi hanno le selle troppo dure, già pedalare stando attenti ai cani al guinzaglio ed ai ragazzi con i cellulari è faticoso, perché aggiungere altra pena;
f) sarei favorevole a comminare il daspo dalle spiagge a chi tira i gavettoni a ferragosto.

Avrete capito da questo breve elenco come al mare non sia propriamente socievole. E quella cavolo di sella mi da un fastidio del diavolo. Buone vacanze!

(155 – continua)

gabriella-ferri

Nota.
Le miss della foto di copertina sulle nostre spiagge, molto più morigerate, non esistevano. O almeno io non le ricordo, o forse allora non ci facevo caso?

23 pensieri su “Tutti ar mare

  1. Hai reso il quadro come meglio non si può.
    Rievocazioni e presente inappuntabili.
    Condivido tutto dalla prima all’ultima parola, cosa che mi capita raramente nei vari post.
    In sintesi, se è insofferenza coincide esattamente con la mia, come coincide pure il godermi casa mia. (casa, dolce casa – tanto vero è che lo so anche in inglese: home, sweet home… visto che non mento?)

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    • Yes, we can! (mannaggia, invece no: anche quest’anno mi sono fatto trascinare… risultato: una settimana di vacanza due bagni due. In compenso sono aumentato di due chili perché quando sono nervoso mangio. Anzi mangio sempre, anche quando non sono nervoso, ma almeno avevo una buona scusa. Ho provato a scrivere sotto l’ombrellone ma è scomodo, specie dopo essere andato in bicicletta. E poi ero troppo distratto, cinquantenni che si atteggiano da sedicenni e sedicenni che si atteggiano a modelle in passerella, come si fa a rimanere concentrati?) La domanda che mi pongo è: ma davvero siamo messi così male che sentiamo la necessità, che forse sta diventando un obbligo, di andare in vacanza? Non è che non riusciamo a crearci una vita interiore abbastanza soddisfacente e pensiamo che buttandoci una settimana in acqua passa tutto? Poi per carità, io scherzo figurati che mia moglie l’ho conosciuta al mare… ma allora avevo un motivo valido per andarci 🙂 Fondiamo un movimento di resistenza all’andazzo!

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    • Ah, ah, Dora il tuo fazzoletto rosa l’hai tirato fuori? O è troppo caldo per andare in bicicletta? (spero che la tua di sella sia comoda…) 🙂 ferie finite da queste parti! Al lavoro inde(fessa)mente. E’ tornato caldo anche qua, sono uscito dopo il pranzo frugale e mi sono cotto la pelatina. Buon pomeriggio!

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      • il fazzoletto preferito è rosso e bianco, a fiorellini/pallini, una cosa simile, ma ormai giro con i capelli nel vento. Qui ferie mai iniziate, come mio solito: sono allergica alle vacanze in stile classico e in tempo classico. Agosto m’è incompatibile, direi…
        ué…il fazzoletto da uomo sulla pelatina! inventiamolo se non esiste già!
        buon pomeriggio anche a te
        io vedo che aria tira tra le righe

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    • A me piaceva molto andare al mare… ma adesso davvero mi stufo e poi è uno di quei posti che più mi fanno sentire “massa”… non parlo di isole caraibiche o di veleggiare come fa l’amico Nico… parlo di spiagge “nostrane” e dell’obbligo quasi di esserci, e vedo che siamo in sintonia… ero rimasto indietrissimo nei tuoi scritti! Ma quanto sei stato fermo alla fermata del bus? 🙂 ciao Sal!!

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      • Mi piace stare alla fermata dei bus quando non devo attenderli, ti confesso. Come mi piace starmene lontano dalle spiagge quando tutti ci si rovesciano allupati di… nulla.In verità odio, ho sempre odiato starmene al sole a rigirarmi i pollici. Se qualche volta l’ho fatto è stato solo per essermi lasciato sopraffare dal narcisismo di una tonalità più scura della pelle. Cosa pagata con di quelle scottature allucinanti. Il mare mi piace ma per viverlo al tramonto, se non proprio di notte o all’alba. Poi lascio volentieri il posto ai bagnanti…

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    • Ah ah finito (per fortuna)! Tornato al lavoro dalla settimana scorsa… una pace di Santi! Nessuna telefonata, nessuna fretta… magari sempre! Sui bikini… adesso fanno tenerezza! Ma le miss erano davvero belle, e per niente anoressiche! 😁

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