Il fischietto di Arturo Yamasaki Maldonado

Alle 16 del 17 giugno 1970 l’arbitro Arturo Yamasaki Maldonado, peruviano di nascita ma sotto le insegne della Federazione calcistica messicana, fischiò.

Per il campionato del mondo, io e babbo rimanevamo alzati fino a tardi a guardare la televisione. C’erano solo due canali, in bianco e nero. Programma nazionale e Secondo canale, più che sufficienti. Se in questo paese avessimo guardato un po’ meno televisione e letto più libri… mah, lasciamo stare.
L’altra sera guardavo una replica de “I fratelli Karamazov”. L’avevano trasmesso a fine ‘69, un successo straordinario. Attori principali Salvo Randone, Umberto Orsini, Lea Massari, Carla Gravina. Non dico altro.

Un amico, qualche giorno fa, avendo saputo che un paio di settimane prima avevo arbitrato, per gioco, un torneuccio di ragazzi, mi ha chiesto se ne capivo di calcio. Un po’, gli ho detto.
Giovanissimi, allievi, juniores, under 21, terza categoria e amatori. Questo il mio curriculum, non esaltante ma nemmeno infimo. Il presidente Delio, titolare di un negozio di alimentari, mi chiese se me la sentissi di passare in seconda categoria. Ma io suonavo e facevo tardi la sera, declinai l’offerta. E poi c’era tanta gente più brava, avrei giocato poco.
Ho smesso dopo che, durante un allenamento, mio fratello Gianmarco più giovane di 10 anni non mi fece toccar palla. Quando è ora, è ora.

Due anni prima in Messico si erano tenute le Olimpiadi. Quelle famose per il pugno chiuso dei neri americani. Quelle dove a Città del Messico, pochi giorni prima dell’inizio, nella Piazza delle Tre Culture la polizia aveva sparato sugli studenti, uccidendone centinaia. Il mondo fece finta di niente. Oriana Fallaci venne ferita gravemente, e dal letto d’ospedale ne fece un resoconto memorabile.

In casa nostra si è sempre parlato di politica, fin da quando io ricordi.
Se ne accenno è solo per dire che di quello che succedeva nel mondo, anche se abitavamo in un piccolo paese, se ne è sempre discusso. Il 12 dicembre, ad esempio, stesso periodo dei Fratelli Karamavoz, a Milano scoppiò la bomba in Piazza Fontana, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Ai miei era evidente che fossero stati i fascisti. Qualcun altro, ancora oggi, finge di non saperlo.

Milano era così lontana che mai e poi mai avrei pensato che sarei finito a lavorarci. Marco, trombonista e compagno di classe di elementari e medie, mi chiede che cavolo corriamo a fare su per le scale mobili. Già, bella domanda.

Mercoledì 17 giugno 1970, quindi, allo stadio Azteca di Città del Messico, agli ordini dell’arbitro Yamasaki scesero in campo le nazionali di Italia e Germania Ovest. I nostri erano forti, forse la nazionale più forte di sempre. Due anni prima avevano vinto il Campionato Europeo (mai più successo); interisti e milanisti avevano vinto tutto il vincibile. Ma fin lì avevano un po’ stentato, e i tedeschi partivano favoriti.

Dodici anni dopo, quando l’Italia vinse il terzo mondiale della sua storia, ne patii fisicamente. Infatti, nel carosello di esultanza per la vittoria sul Brasile, ad Ancona dove frequentavo un corso di informatica (che mi portò poi a Parma… altra storia) la Ford Capri dell’amico Carlo venne tamponata in galleria. Io, seduto dietro, mi affrettai a scendere. Ma prima che terminassi l’operazione, Carlo mi chiuse la portiera sul piede. Fanculo al Brasile (e alla Ford Capri).

Enrico, Tarcisio, Giacinto, Mario, Roberto, Fabrizio, Pierluigi, Angelo, Alessandro (Sandro), Giovanni (Gianni), Roberto, Giancarlo, Luigi (Gigi). Nomi ordinari per gente dalle qualità tecniche e umane niente affatto ordinarie.
Dopo dieci minuti, eravamo uno a zero per noi.

I tedeschi, diciamocelo, non hanno mai avuto una grande considerazione degli italiani.
Non potevano aspettarsi, e non se l’aspettarono, che dopo aver subito il loro pareggio in pieno recupero non ci saremmo sfaldati. Italiani spaghetti pizza e mandolino.
Non potevano concepire che dopo essere andati sotto, riuscissimo a pareggiare. E addirittura ripassare in vantaggio. Come osavamo! Ci pareggiarono ancora. 3-3.
Solo un minuto: dopo 11 passaggi 11 senza che un tedesco riuscisse a toccar palla, Rivera segnò. Ancora una manciata di minuti, con i tedeschi ormai distrutti, e Yamasaki fischiò tre volte. Era finita.

Quella notte andò in scena uno straordinario concerto, per chi ebbe la fortuna di assistervi.
Per fischietto, cuore e orgoglio. Indimenticabile.

(7. continua)

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