Il mio violino

Ho comprato il mio primo violino a 16 anni. Sembra facile, ora, ma allora non lo era per niente. Primo, di soldi ce n’erano pochi, e non si potevano chiedere ai genitori, se non per cose importanti. Non è mica come adesso, che ad un moccioso basta aprir bocca per essere inondato di cose.
Secondo, eravamo quattro fratelli, di cui il più grande ero io. Non ci mancava niente, e questo ci bastava, come a tutti.
Quindi i soldi andavano messi da parte con pazienza e spesi con parsimonia.

La mia fonte di entrata principale erano i nonni materni, che andavo a trovare tutte le domeniche dopo la messa, e mi allungavano 1000 lire (mio nonno: mia nonna approvava); non li andavo certo a trovare per quello, e del resto li vedevo quasi tutti i giorni, ma la visita era attesa da tutti (più di tutti da mia nonna), ed il rituale veniva sempre rispettato.
– “Ciao nò, come stai?”
– “Oh, nì, sì tu? Veni, veni..”
Parlavamo un po’ della scuola, un po’ di sport, un po’ della famiglia. Poco di politica, perché nonno era rimasto nostalgico, e avevo capito che quel tasto era meglio non toccarlo. 1000 lire. Che se ne andavano in giornalini (Lanciostory costava 250 lire!) e qualche birretta con gli amici.

Qualche soldo me lo dava mio padre. Non a gratis, intendiamoci. Non esistevano le paghette. Né regali per ogni promozione. La promozione era un atto dovuto: il compito dei genitori è quello di lavorare, quello dei figli di studiare. Chi non ha voglia, a lavorare. Su questo si era molto chiari.
A me studiare è sempre piaciuto, e non dovevo nemmeno fare fatica; questo però non garantiva nessuna entrata supplementare. Quindi, andavo a fare qualche lavoretto a bottega, da babbo.
Non papà, babbo; i figli di papà erano altra cosa.
Non era un lavoro leggero, quello di babbo: fabbro, idraulico, lattoniere, con le mani sapeva e sa fare tutto. Io invece le mani le avevo e le ho un po’ delicate, quindi facevo quello che potevo: spazzavo, verniciavo con una certa abilità, tagliavo, sistemavo quello che ci portavano i fornitori (i tondini da una parte, le verghe a L dall’altra, i rettangolari in basso…) e a volte lo aiutavo a fare le consegne. Porte, ringhiere, quella roba lì. Mi aveva insegnato a saldare, a montare i rubinetti, mi ha portato sopra i tetti a sistemar grondaie… ma non divaghiamo. Quindi quello che volevo dire è che ogni tanto mi dava qualcosa, ma soprattutto mi dava la soddisfazione di credere di essermelo un po’ guadagnato.

Il violino era uno sfizio. Suonavo già tanti strumenti: il clarinetto (anzi il clarone) in banda, la chitarra e il basso elettrico nell’orchestrina che avevo contribuito a fondare. R7, ci chiamavamo. Competevamo con gruppi dai nomi altisonanti: “I Cavalieri del Liscio”, “Gli Scacciapensieri”, noi solo R7, ci bastava. Suonavamo nelle balere della zona, ma l’orchestra non è mai stata una fonte di entrata, semmai di spesa: amplificazione e strumenti presi a debito e pagati a poco a poco con gli ingaggi…poi quando abbiamo saldato tutti i debiti abbiamo anche sciolto l’orchestrina, ma anche questa è un’altra storia.

Insomma, questo strumento mi aveva sempre intrigato. Non era qualcosa che si poteva imparare in banda, dove gli strumenti a corda non ci sono; bisognava andare a scuola, figurarsi. Ma io pensavo: la musica la so leggere, la chitarra la so strimpellare, che sarà mai? Una chitarra un po’ più piccola. Lo prendo e lo imparo da solo. Facile.
Così comprai questo violino, uno dei primi cinesi, ma col fondo in legno massello mica in compensato: 30.000 lire, completo di archetto e astuccio. Il negozio dove lo presi era lo stesso da cui avevamo comprato amplificazione e batteria, a Macerata.

Per anni ho pensato che i paesi seri dovessero essere fondati sulle colline. Quelli in piano non danno fiducia, posti di passaggio, per gente precaria. La gente solida sta in collina.
Difatti Macerata è in collina, a 10 chilometri dall’altra collina sulla cui cima si “asside” il mio paese, Pollenza. C’erano quattro modi, per un sedicenne, per raggiungere Macerata in autonomia. In corriera, due corse al giorno. In autostop: di solito funzionava, se non si aveva fretta. In motorino, per chi ce l’aveva, io no. Però c’era la Vespa 125 di mio padre, non avevo la patente ma pazienza, non si era mica tanto fiscali. O la bicicletta, tenendo conto che, bene che vada, per andare da una qualsiasi collina ad un’altra bisogna affrontare almeno due salite, una all’andata e una al ritorno.
Per l’occasione credo di essere andato in corriera.

Così, a tentativi, a orecchio, scoprendo man mano che la parte più importante del violino è la pece (che il perfido venditore non mi aveva dato), che non è possibile mettere i tasti al violino (come provai a fare), e che saper strimpellare la chitarra aiuta relativamente, qualcosa riuscii a tirar fuori.
Ed anche a suonarlo con l’orchestrina… cosa che a pensarci adesso, dopo aver tentato a distanza di (troppi) anni di impararlo davvero, con risultati discutibili, mi sembra incredibile.

(1. continua)

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